“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10,27). “Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui” (Lc 10, 33-34). Queste due citazioni sono quelle che appaiono sottolineate in rosso nella Bibbia che possedeva la coppia Ulma, Józef e Wiktoria. Un altro passo in rosso è quello che parla dell’amore verso i nemici. Con la loro vita e morte dimostrarono che questo fatto non era frutto di una devozione vuota, di un sentimento momentaneo, di un entusiasmo passeggero, ma che era una verità fondamentale per entrambi.
Józef e Wiktoria assieme ai loro 7 figli e a 8 ebrei che tenevano nascosti nella loro proprietà, furono giustiziati dai nazisti il 24 marzo 1944. Il loro amore, rafforzato dalla loro fede in Cristo, fu sempre una sorgente di generosità. In 9 anni di matrimonio ebbero 7 figli, la qual cosa dimostra già la loro generosità e l’apertura alla vita, ma l’amore verso il prossimo li portò fino all’estremo di questa virtù. Per l’atto di carità pagarono con la loro vita e con la vita di coloro che amavano maggiormente, pagarono il prezzo più alto, ma senza dubbio ricevettero anche il premio più alto, perché chi più dà riceverà molto di più.
Józef Ulma nacque nel 1900 a Markowa, un paese nella zona sudorientale della Polonia, diocesi di Przemysl. Durante le prove della Compagnia Teatrale Dilettante, Józef conobbe Wiktoria, dodici anni più giovane di lui, che pure proveniva da Markowa, e si innamorarono profondamente. Si sposarono nel luglio dell’anno 1935 nella chiesa parrocchiale di Markowa dedicata a santa Dorotea. I due erano cattolici praticanti e nel paese avevano fama di persone giuste e virtuose. Ci sono testimonianze del fatto che Józef non andava a dormire senza aver pregato le sue preghiere tutte le sere in ginocchio a fianco del suo letto.
Wiktoria lavorava in casa, prendendosi cura e insegnando ai suoi figli. Il suo amore si rafforzò ancora di più e il suo frutto non si fece aspettare. Stasia, Basia, Wladzio, Franul, Antol, Marysia e il settimo bambino che stava aspettando Wiktoria quando la ammazzarono.
Lo sviluppo pacifico della loro vita familiare si interruppe tragicamente con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale nell’anno 1939. Il 1° settembre di quello stesso anno la Polonia fu invasa dai nazisti. Ben presto si scatenarono orribili massacri di polacchi ed ebrei, furono distrutti sinagoghe e luoghi di preghiera. Si propagò il panico. Gli ebrei furono riuniti in ghetti e successivamente trasportati nei campi di sterminio. Nell’anno 1941 la situazione si aggravò ancora di più. Per scoraggiare i polacchi ad aiutare gli ebrei, Hans Frank — Governatore Generale dei territori polacchi occupati — emise un regolamento secondo cui ogni cittadino accusato o sospettato di aiutare gli ebrei sarebbe stato giustiziato. Probabilmente fu in quel periodo che due famiglie ebree si rivolsero agli Ulma chiedendo loro di nasconderli. Si trattava dei Goldman di Markowa –Golda e Layka con una bambina–, e i Szall di Lancut, un commerciante di bestiame con i suoi quattro figli adulti.
Wiktoria e Józef ne parlarono tra di loro e i due erano d’accordo che bisognava nasconderli. È evidente che non ignoravano il pericolo a cui si esponevano, ma è probabile che poco tempo prima avessero potuto osservare dalle finestre della loro casa lo sterminio di una dozzina di ebrei di Markowa e dintorni giustiziati in un luogo vicino alla proprietà, dove anticamente si seppellivano gli animali. D’altro canto sapevano che se non li avessero aiutati sicuramente anche queste due famiglie sarebbero andate incontro allo stesso destino. Ed è lì dove si dimostra il diamante della loro carità, levigato e lavorato anteriormente nella vita quotidiana, nello sforzo per crescere un po’ di più ogni giorno, a prezzo di sacrifici e dimenticanza di sé.
Fondati e sostenuti dalla grazia di Dio, fedeli alla Sua ispirazione, nella loro decisione furono condotti all’eroismo e fu Lui che convertì il loro amore in vera perla. Sarebbe molto superficiale immaginarsi la loro decisione come qualcosa di facile, sicuramente per loro comportò una grande sofferenza giungere ad essa, preoccupati specialmente per i loro figli, dei quali la maggiore aveva iniziato le elementari e il più piccolo era ancora nel seno materno. Amavano profondamente i loro figli e si amavano l’un l’altro, ma maggiormente amavano e valorizzavano Dio e i Suoi precetti. E spinti da “ama il prossimo tuo come te stesso”, ad imitazione di Cristo decisero di accogliere nella propria casa quegli ebrei bisognosi.
Il nascondiglio fu scoperto. Prima che spuntasse il giorno 24 marzo, giunsero vari funzionari della polizia alla proprietà di Józef Ulma, situata nella periferia del paese. Poco tempo dopo si sentirono degli spari: le prime vittime furono gli ebrei. Il resto dell’esecuzione testimoniato dai polacchi che guidavano le automobili con cui giunse la polizia. Li obbligarono a guardare per vedere che cosa accadeva ai polacchi che aiutavano gli ebrei. Józef e Wiktoria furono portati fuori dalla loro casa e fucilati di fronte ad essa. In mezzo alla notte risuonarono le grida orribili, il pianto e le voci angosciate dei bambini che chiamavano i loro genitori ormai senza vita caduti al suolo. Dopo aver ammazzato gli adulti, i funzionari si fermarono per decidere che cosa fare con i bambini. Alla fine il comandante Eilert Dieken, che era al comando, decise di giustiziare anche loro. José Kokott, rivolgendosi agli autisti delle automobili, nei quali rimasero profondamente impresse le sue parole, disse: “Fate attenzione a come muoiono i maiali polacchi che nascondono gli ebrei.” E subito dopo egli stesso ammazzò i bambini.
È cosa buona far notare che dopo l'esecuzione delle famiglie Ulma, Goldman e Szall, e malgrado alcuni del paese inorriditi dagli avvenimenti avessero consegnato alla loro sorte gli ebrei che avevano nascosto, altri mantennero il coraggio e l’amore continuando a nasconderli, e salvarono così almeno 20 vite.
Alla fine della parabola del buon samaritano il Signore domanda al maestro della legge: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Forse questo è precisamente anche parte dell’eredità spirituale della famiglia Ulma, queste sono le parole che essi ci rivolgono oggi con l’esempio della loro vita e morte: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Forse non ci tocca dare la vita per altri in modo cruento come loro, ma quante volte nella nostra vita quotidiana possiamo dar prova di avere compassione vera verso coloro che sono al nostro fianco, essere prossimo di coloro che abbiamo vicino e di coloro che sono lontani, con la nostra dedizione, con il dimenticarci di noi stessi, con lo sforzo di fare felici gli altri, con la nostra fedeltà al Vangelo, dando al Signore ciò che sappiamo che ci sta chiedendo.